Perduti nei Quartieri Spagnoli, Heddi Goodrich. Dalla recensione del libro, alla storia artistica,urbanistica, nonchè musicale,del reticolato più famoso di Napoli.

 “Napoli è una fonte d’ispirazione per me. Una magia”.

Una dichiarazione d’amore per la città partenopea, è quella con cui Heddi Goodrich  ha diffuso il suo romanzo, Perduti nei Quartieri Spagnoli.  (Ed. Scrittori Giunti, 2019). Un lavoro editoriale dall’intensa sensorialità emozionale. Una storia in cui la scrittrice, pone al centro, il fascino di un luogo, intrecciandolo alla trama appassionata. La città di Napoli veste di stupore, il fil rouge del suo Perduti nei Quartieri Spagnoli. Una creatura editoriale in cui, un vortice di suggestioni, si legano al temperamento avvincente, prendendoci per mano, ad ogni descrizione. Heddi Goodrich è nata a Washington nel 1971. Arriva a Napoli nel 1987. per uno scambio culturale, soggiornandovi fino al 1998. Studiosa di glottologia, si laureerà in Lingue e Letterature Straniere, all’Istituto Universitario Orientale. Insegnante, tiene un blog bilingue su traduzioni, letteratura e curiosità dell’italiano e dell’inglese. Vive ad Auckland, in Nuova Zelanda. Perduti nei Quartieri Spagnoli è il suo primo libro. Un volume destinato a diventare un tessuto cartaceo, di quello che è il Quartiere più affascinante e controverso di Napoli. Un dedalo che suggestiona ed insieme fa riflettere. Un agglomerato di fascino a cui si alterna l’osservazione del degrado, di cui i Quartieri Spagnoli sono stati investiti nel tempo. Perduti nei Quartieri Spagnoli, scorre veloce, fluido, come l’immagine della lava del Vesuvio. Una caratterialità vivace, in cui la doppiezza dei registri narrativi, fa da specchio riflesso al dualismo napoletano. Un romanzo multistrato, dove il lettore viene rapito dalla complessa psicologia dei personaggi, a cui si alterna la psicologia dei luoghi. Una narrazione che trova ispirazione autobiografica. Una studentessa americana incontrerà una realtà sconosciuta nella Napoli degli anni ‘90. Una dimensione che le insegnerà il concetto di radicamento. “Questa emozione per l’attaccamento sull’appartenenza riesco ad analizzarla ma non a sentirla”. E’ così che Heddi Goodrich sviscera il sentimento delle radici. Un tema rilevante nell’antropologia napoletana, che nel libro diventa filo conduttore. Il peso della casa, l’affezione al territorio rende i legami più profondi, ma nel contempo, una peculiarità che restituisce ai napoletani poca libertà. Una componente che riusciamo a cogliere in modo dettagliato, attraverso uno dei personaggi principali, Pietro.  Uno studente di geologia, figlio di una famiglia di contadini in provincia di Avellino. E’ in questa connotazione, che viene rappresentata la descrizione delle famiglie arcaiche, legate alla “roba”.  Pietro è il personaggio sognatore. Una figura dall’ampio spessore psicologico. La sua complessità da cui ne deriva la debolezza. Il giovane che stravolgerà la vita di Heddi. Una travagliata storia d’amore. Eppure il libro non è da considerarsi un romanzo d’amore. Ne costituisce solo una ala, dell’intero corpo narrativo. In esso ritroviamo l’ampiezza della dimensione esplorativa dei luoghi di Napoli. Una moltitudine di ingredienti.  La definizione antitetica tra il visibile ed il sotterraneo. Il fulcro del romanzo in cui una giovane ragazza americana, un po’ naif, troverà canali di meraviglia e di stupore. La tramutazione della stranezza in bellezza, attraverso la sua poliedricità. L’esaltazione dello spessore umano nel tessuto delle vicende che vivrà, rapita dai Quartieri Spagnoli. La ricerca di piacevolezza nei difetti e nelle debolezze. Insieme ad essi, l’osservazione partecipante di momenti in cui, un luogo “sgarrupato”, può esprimere accoglienza. Può esso stesso, lasciare un segno. Perduti nei Quartieri Spagnoli, trasferisce una pienezza di suggestioni, attraverso le strade, le persone, gli odori, la lingua dialettale. La stranezza degli aneddoti.  La magia onirica e l’aura esoterica, straordinarie fonti di radici che hanno ispirato l’autrice, in un confronto tra tradizioni e memorie, rendendone rinnovato, il sentimento di stupore ed entusiasmo. La straordinarietà di imprimere, la non scontatezza.   

Suggestiva scala dalla forma ellittica, caratterizzante un antico palazzo ubicato in Via Emanuele De Deo, civico 33, fulcro dei Quartieri Spagnoli. Un indirizzo, che rappresenta il cuore pulsante del tessuto narrativo del libro.Un disegno, quello della scala, che insieme all’intero palazzo, pare faccia parte di un progetto realizzato nel 1900, a nome del’architetto Francesco De Fusco.

“Svincolai per la prima traversa a destra. Una salumeria meno male. Mi riparai sotto la carne appesa per concedermi un’occhiata alla targa stradale. Via De Deo, proprio come Dio, pensai. Reale o immaginaria, la capra mi aveva indicato la strada. Napoli mi veniva sempre in soccorso, alla fin fine.”.
Il singolare reticolato dei Quartieri Spagnoli, è riuscito nel corso del tempo, a rendersi protagonista di un imponente processo di ricentramento urbanistico. Un quartiere, che ha trovato in precedenza, una popolarità impopolare, a cui finalmente viene restituita la sua reale connotazione. Alcuni street artist, di fama internazionale, hanno provveduto ad una forma di rigenerazione urbana dei quartieri di Napoli, Qui, in fotografia, riconosciamo in Via Emanuele De Deo, il murales realizzato dallo street artist argentino, Francisco Bosoletti, raffigurante il leader del calcio, Diego Armando Maradona. Un ‘opera, che pare sia la continuazione di quella iniziata da Mario Filardi, a seguito del secondo scudetto del 1990.
Durante la percorrenza delle viuzze, in un saliscendi di vicoli scanditi dalle edicole votive, viene esaltata la diffusione artistica di Napoli, attraverso i murales raffiguranti l’incommensurabilità mondiale di Pino Daniele. Il musicista, cantautore, compositore e chitarrista,pioniere del blues, resta vivo in ogni angolo della sua terra natìa. Insieme a lui, un’altra grande personalità, associabile a quella di Pino Daniele, per amicizia e creatività, è quella di Massimo Troisi. L’indimenticabile attore napoletano, riconoscibile per la sua genialità e poliedricità inimitabile.

O ssaje comme fa ‘o core, è una poesia che sugella il sodalizio artistico e personale tra Massimo Troisi e Pino Daniele. Una grande sintonia artistica e personale che unirà la vita di due elevati artisti della storia Napoletana e mondiale, da ogni sguardo li si osservi. Pino Daniele ha scritto le colonne sonore dei film di Massimo Troisi sin dal suo esordio. Questi i titoli dei film: Ricomincio da tre (1981), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991).

Il murales qui fotografato, ritrae un altro sommo artista, appassionato follemente di Napoli, sebbene non fosse il suo luogo di nascita. Lucio Dalla. “Io non posso fare a meno almeno due tre volte al giorno, di sognare di essere a Napoli”. Un’esternazione di conoscenza mondiale, che sublima l’amore sconfinato dell’artista bolognese, per la città napoletana. Autore di capolavori quali Caruso e Canzone, due generi che decretano la camaleonticità del cantautore, tessendo in musica, la passione per e di, Partenope.

“Lungo la via mi persi. Proprio come volevano le strade a griglia del quartiere, sin dal concepimento come alloggio militare. Bar e fruttivendoli, praticamente identici, a cui si sommavano bancarelle di uova o sigarette di contrabbando, piazzate ad ogni angolo, servivano a fare di quel reticolo di strade, un gioco di specchi, ideale per escludere chi ne era estraneo, a custodire, chi non ne faceva parte. Camminavo come un equilibrista su di un filo che si poteva tracciare attraverso antenne e panni stesi. Lo smog e gli strilli. Il quartiere non si lasciava conquistare, ma grazie a quei percorsi, avevo il controllo interiore necessario”.

La riqualificazione urbana dei Quartieri Spagnoli, trova sublimazione allo sguardo con il murales ritraente Iside. Il ritratto della meravigliosa statua, è stato portato a compimento, sempre dall’artista argentino Francisco Bosoletti. Un inno alla bellezza femminile, potenza creatice. Una meraviglia che possiamo riconoscere in ogni suo dettaglio, come riproduzione della Pudicizia. La sublime scultura, realizzata da Antonio Corradini, nel 1752. Un’opera commissionata da Raimondo Di Sangro, e dedicata alla madre Cecilia. Visitabile presso La Capella San Severo, dove è preziosamente custodita.

Pubblicato da rosadigirolamo1980

Laureata in Sociologia. Appassionata di scrittura, di musica e di fotografia. Con il desiderio di diffusione delle parole. Le proprie, e quelle degli scrittori. Immersa nel mondo dei libri. Incantata dai fiori. Con lo sguardo rivolto sempre ai colori del mare, alle note della natura. Orientata al mondo della comunicazione. Dalla radio alla lettura. Passando per l'iterazione umana.

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